Gian Paolo Marchi

L’università dell’arte tipografica

di Gian Paolo Marchi, su L’arena, 19 luglio 2012

 

Quando una dozzina d’anni fa la facoltà di Lingue e letterature straniere dell’università di Verona decise di dar vita a un corso di laurea in Lingue e culture per l’editoria, parve importante offrire agli studenti l’opportunità di accostare non solo le più aggiornate tecniche editoriali, ma anche le modalità più antiche dell’arte della stampa.

La città di Verona poteva contare, anche in questo settore, un ineguagliabile primato, legato al nome di Giovanni Mardesteig, che D’Annunzio ebbe a definire “principe degli stampatori”: non immeritamente, perché la sua Officina Bodoni, inaugurato nel 1923 a Montagnola di Lugano con l’Orfeo di Poliziano e trasferita a Verona nel 1927, impose in tipografia un ritorno alla grande tradizione classica italiana ed europea, opponendo moduli di classica misura al disordine e alla sciatteria che aveva trovato alimento anche in talune espressioni deteriori legate al futurismo, non sempre all’altezza delle geniali innovazioni grafiche di Fortunato Depero.

Il magistero di Mardesteig esercitò il suo influsso sulle Editiones Dominicae di Franco Riva, avviate nel 1954, nonché sulla “privatissima tipografia” di Gino Castiglioni e Alessandro Corubolo, che, dopo le prime prove, eseguite nei primi anno Sessanta con “una vecchia platina, priva di pedale”, a partire dal 1968 realizzarono i loro libri, con la marca tipografica della Chimera, mediante un torchio di tipo Albion costruito a Monza nel 1855 da Amos Dell’Orto. Né va dimenticato il geniale impegno di Renzo Sommaruga, stampatore, illustratore e pittore di recente scomparso, in grado di “costruire” integralmente un volume, curando insieme testo, stampa e apparato illustrativo: il suo primo lavoro, la dannunziana Pioggia del pineto, fu impresso nel 1963 in sole tre copie, con il corredo di otto illustrazioni.

Intorno al 1970 fu inoltre attiva a Verona la Plain Wrapper Press di Gabriel Rummonds, un americano di vasti interessi culturali, ideatore di libri in cui la legatura veniva ad assumere un rilievo non marginale rispetto al testo: è il caso dei Siete Poemas Sajones di Borges, la cui legatura è corredata di bassorilievi in bronzo di Arnaldo Pomodoro. Siamo nel 1974. Due anni dopo, a Rumonds si presenta un giovane, Alessandro Zanella, desideroso di essere messo a parte dei segreti della stampa manuale. Da apprendista appassionato e curioso, Zanella diviene ben presto socio e co-designer di Rummonds; e quando l’estroso artista lascerà definitivamente Verona per rientrare negli stati Uniti, ne rileverà il torchio, uno Stanhope del 1854 con vite e il caratteristico contrappeso, nonché la serie di caratteri Spectrum, e fonderà la sua tipografia privata all’insegna di Ampersand. Questo termine designa in ambito anglosassone la “&”, legatura di “e” e “t”, considerata l’ultima lettera dell’alfabeto (X, Y, Z e &), richiamata con la formula “and per se and”, cioè “e la lettera che per se stessa significa and”: formula dalla cui corruzione par derivare la parola Ampersand.

La scelta di questo logogramma come marca tipografica esprime a pieno la cifra intellettuale e artistica di Alessandro Zanella: non un aut aut superbo ed escludente, ma un et che significa attenzione alla diversità e alla molteplicità delle opzioni con cui l’arte tipografica persegue il raggiungimento di una forma perfetta, “geprägte Form, die lebend sich entwickelt”, la forma impressa che vivendo si evolve per adattare a quest’arte un mirabile verso di Goethe.

Una tale apertura non significa eclettismo, e tanto meno il cedimento a compromessi che possano frenare la tensione verso la qualità: la coerenza nella scelta degli autori del Novecento per la collana “Le carte del cielo” (pendo in particolare al racconto di Paola Drigo) vale quanto un saggio di critica letteraria, come pure un saggio di critica artistica appare la scelta degli illustratori.

Anche nelle realizzazioni quantitativamente più modeste, il al voro di progettazione comportava un impegno assoluto; la scelta dei materiali obbediva non a valutazione di costi, ma alla pertinenza con il carattere dell’oggetto tipografico.

Questo hanno potuto sperimentare gli studenti della facoltà di Lingue che si sono avvicendati nel laboratorio di Santa Lucia ai Monti dal maggio 2003 al novembre 2009, in gruppi di sei per ciascuno dei ventun corsi di stampa in torchio, durante i quali il torchio a mano Stanhope – come scrisse lo stesso Zanella nella nota premessa al catalogo della mostra promossa negli ambienti della Bibilioteca Frinzi dalla direttrice Daniela Brunelli – “ha impresso i fogli che sono più volte passati fra le mani degli studenti, ogni carta a mano è stata tagliata in misura, marcata con segni di registro, bucata per reggersi in posizione sul timpano”; “i caratteri inchiostrati con precisione e sensibile sicurezza hanno morso recto e verso per incidere il logo tratto nero e limpido sotto la forza della pressione. Infine, ultimo atto: la raccolta del lavoro in un fascicolo di poche carte accavallate cucite a mano in una semplice copertina per chiudere con emozione e soddisfazione l’impegno di pochi giorni”.

Emozione e soddisfazione condivisa dai docenti che si assunsero il compito di preparare i testi epr la stampa, proponendo anche inediti di Mario Luzi, Fernando Bandini, Daniele Piccini, Edoardo Sanguineti, Franco Loi, Jean-Charles Vegliante, Norbert Kaser. Per la collana fu trovato un motto Sidus Iuliarium Resurgit, che alludeva alla tipografia aperta nel 1795 da Bartolomeo Giuliari nel palazzo di famiglia, destinato dalla munificenza di Elena Tusini Giuliari a ospitare la sede dell’Università di Verona.

Posso testimoniare che ognuno dei piccoli libri, stampati in soli ventiquattro esemplari, comportò un’avventura: sempre a lieto fine. Parlo al passato, perché Alessandro Zanella è morto da pochi giorni: nel pieno della sua maturità professionale e artistica, di cui altri potrà dire con maggior competenza ed esperienza. Penso in particolare a quelli che sono solito chiamare i Dioscuri della Private Press veronese, Gino Castiglioni e Alssandro Corubolo, che ben sono in grado di ripercorrere le tappe di una luminosa parabola umana.

Quanto ho scritto non è più che un saluto al giovane amico, che sembra riapparire tra le stanze della facoltà di Lingue e sul prato della sua casa a Santa Lucia ai Monti, un po’ come nella poesia di Jürgen Becker inviata come biglietto di auguri nel 2002: “Più tardi tutto: / la progressiva espansione, / ininterrotti piani del tempo: / nella consapevolezza / che continueremo a vivere con nastri magnetici, / con perdute abitudini, / lingue corrotte, / con i suoni dell’acqua, dei boschi, / certi che ritroveremo ancora il vecchio film, / che ritroveremo la scena della porta che si apre, / e usciremo all’aperto / nel mattino con gli alberi al vento”.

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